Dall’obbedienza tramite coercizione e soggettivazione corporea razionalizzata e condivisa alla rievocazione dei diritti.
Roberto Beneduce ha detto: – undiritto non lo si riceve ma lo si esercita o lo si impone, perché se aspettiamo che i diritti vengano riconosciuti questi saranno sempre diritti parziali -.
Il mio intento è quello di descrivere i processi che hanno portato i migranti o rifugiati politici a prendere coscienza dei propri diritti personali e a manifestarli, una volta arrivati in un paese straniero.
L’analisi verrà fatta con uno sguardo biopolitico, in un contesto coercitivo e di disordine sociale postcoloniale, quali sono alcuni paesi africani, e in Italia, attraverso un video che riassume immagini, discorsi e parole di ex presidenti africani, movimenti politici di migranti e rifugiati in Italia.
Molti paesi africani, dopo una prima fase di decolonizzazione e un breve periodo di neo-liberismo, amministrato sempre dai paesi ex colonizzatori, in cui comparivano le prime forme di privatizzazione e di accordi transnazionali, hanno subito rivolte interne, la nascita di milizie o di gruppi terroristici. Tutto questo è dovuto ad un sovvertimento dei ruoli sociali e politici: i dominanti non erano più i paesi europei ma élite etniche che avevano ottenuto il loro potere attraverso decisioni scientifiche o semplicemente d’interesse da ex colonizzatori ; es. I Tutsi sono più alti, snelli e hanno il naso più sottile
- ergo assomigliano più agli occidentali : caratteristiche delineate dai belgi per giustificare il loro appoggio a questa etnia) , rispetto agli Hutu. La differenziazione etnica e quindi di successo , e data dall’approvazione della classe dominate imperialista europea.
L’assoggettamento ad una nuova classe dominante è prodotta dalla coercizione cultura e corporea.
Lo stato rappresenta se stesso come entità calata dall’alto che incorpora agenzie istituzionali che creano una governance. Per legittimare le istituzioni, si crea un rapporto di coercizione e di dipendenza tra il popolo e lo Stato.
Secondo Bayard :- La politica del chicotteo flagellazione è il vettore tra il colonialismo e il postcolonialismo all’interno di un processo egemonico che ha fatto della coercizione e della violenza pratiche culturalmente condivise -.
Manifestazioni di violenza, di pestaggi o di punizioni corporali, nel periodo
colonialista e successivamente anche durante la decolonizzazione, erano all’ordine del giorno: si è passati dal pugno duro dei colonizzatori nei confronti degli africani, che hanno ottenuto obbedienza e sottomissione attraverso violenze fisiche e punizioni , alla legittimazione dell’assoggettamento coercitivo corporeo dell’élite africana verso altri africani. La condivisione di queste pratiche, quali linciaggi, flagellazioni, violenze e punizioni corporee, e il loro consenso all’interno della società ( es: l’insegnante che picchia gli alunni, il marito che picchia la moglie , le milizie o le bande che picchiano gli iniziati ), hanno permesso la normalizzazione duratura nel tempo.
In che modo una parte restante del popolo, non appartenente alle cerchie dell’élite o del ceto medio, quali gli impiegati, può chiedere che i propri diritti vengano rispettati ?
La nascita di movimenti politici interni ai paesi africani, sono stati inizialmente appoggiati, in una fase decolonizzazione, da paesi quali Urss o Usa; il primo ha lasciato un’impronta molto forte nelle leve di giovani africani di quegli anni, che hanno inglobato i valori comunisti, soprattutto leninisti, mentre l’Usa ha assunto un ruolo più di cooperazione o di mediazione nelle relazioni diplomatiche ed economiche ; non dimentichiamoci che, anche l’Islam ha avuto un ruolo importante nella regolamentazione dei comportamenti sociali tramite la religione.
Il socialismo africano durante il periodo di indipendenza di alcuni stati africani , è il promotore nel processo di emancipazione dai colonizzatori.
I leaderpolitici africani rappresentarono il socialismo soprattutto come rifiuto del sistema economico capitalistico portato dai colonizzatori, a favore del recupero di valori tradizionali africani come il senso della comunità o della famiglia o la dignità del lavoro agricolo. In questo senso, il socialismo venne spesso rappresentato come un elemento intrinseco dell’identità africana.
Nascita di dittature filo -sovietiche come Derg, il regime militare filosovietico guidato dal colonnello Menghistu Haile Mariam, in Etiopia; o di altre forme di movimenti chiamati “Fronte rivoluzionaria”; federazioni, corporazioni, movimenti popolari rivoluzionari, di uomini o donne, uniti contro la lotta alla desertificazione, alla fame, all’analfabetismo o malattie mortali.
Purtroppo, non si è mai trattato di un vero socialismo ma di governi statuali e dittatoriali.
A peggiorare la situazione, dopo una breve fase di neo liberismo di impronta occidentale, è la crisi economica e di conseguenza la diminuzione degli aiuti umanitari mentre molte mani occidentali e asiatiche tentano di accaparrarsi il maggior numero possibile di materie prime e di territori.
La povertà , i cambiamenti climatici, le guerre civili intra-etniche e gruppi terroristici, sono le motivazioni principali per cui molti africani tendono a scappare e ad emigrare.
Flussi migratori verso l’Europa, traffici umani , violenze fisiche, burocrazia incoerente e difficoltosa : questi sono fenomeni coercitivi soggettivanti, perpetrati altrove, in luoghi periferici, chiamati anche no -zone, in cui la persona è un soggetto labile e continuamente ridefinito nella sua identità; da profugo, clandestino, extracomunitario a immigrato economico.
Solo quest’ultimo ce la fa : lavoratore regolare, che all’interno di circuiti sociali, lavorativi e politici sviluppa, nel tempo la capacità di auto-reinventarsi.
Negli stati moderni è proprio l’idea di libertà che agisce sul controllo personale : soggetti autonomi in grado di auto-svilupparsi e di manifestare liberamente i propri diritti.